Archivio Mulega, IMC
Con quasi 10 milioni di
ettari, la riserva indigena dello stato del Roraima, con una popolazione di
poco superiore ai 25 mila abitanti, sta vivendo una crisi senza precedenti,
come ci raccontano quelle persone che da anni vivono e lavorano per la difesa
dei diritti dei Popoli e della foresta pluviale che è la loro casa. In tutto
questo dramma è molto evidente la colpevole negligenza dell'ultimo governo
federale presieduto dal ex presidente Jair Bolsonaro (2019 al 2022).
L'estrazione dell'oro dal
suolo o dai sedimenti dei corsi d'acqua, effettuata con tecniche manuali o con
macchinari pesanti, è favorita da vere e proprie organizzazioni criminali ed è
stata la causa principale della crisi umanitaria che ha svigorito le comunità
Yanomami.
Uno studio condotto dalla
University of South Alabama degli Stati Uniti rivela che la quasi totalità
delle miniere illegali ( ben il 95%) si concentra in tre territori indigeni:
Kayapó, Munduruku e Yanomami, che sono le zone più colpite da questa attività.
Non è complicato capire
che, se queste riserve sono abbandonate a se stesse, com’è successo in questi
ultimi anni, si impone chi ha più risorse, appoggi e forze.
L’abbondanza dei
giacimenti di tutta la conca amazzonica ha quindi investito le popolazioni più
deboli: favorita dai poteri economici, dalle élite locali e dall'aumento del
prezzo dell'oro sul mercato internazionale l’estrazione illegale (garimpo) ha
avuto la meglio. Grazie all’appoggio del precedente governo è stato perfino
presentato in Parlamento un progetto di legge, poi dichiarato incostituzionale,
per regolamentare e promuovere l'estrazione mineraria nei territori indigeni.
La strada di 10 km che
conduce al territorio Yanomami appare oggi come una ferita aperta nel cuore
della foresta. La deforestazione, l'inquinamento senza precedenti e gli enormi
crateri aperti che squarciano la terra hanno conseguenze drastiche sulla vita,
la cultura, la spiritualità e la salute fisica delle popolazioni autoctone.
In un'intervista, padre Corrado Dalmonego IMC, che sta conducendo una ricerca di dottorato sull'impatto dell'attività estrattiva nel territorio indigena, ha dichiarato: "I centri sanitari hanno esaurito i medicinali di base come il diprone, il paracetamolo e i farmaci per il trattamento della malaria. Di conseguenza, più di 500 bambini sono morti per malattie curabili. A questo si aggiunge che il garimpo illegale non solo ha danneggiato la salute degli indigeni ma ha anche sconvolto la vita familiare, spingendo molte donne alla prostituzione o i giovani alla migrazione verso le periferie povere della città dove sono spesso vittime della tossicodipendenza e della miseria”.
Non c’è dubbio. Coloro
che si addentrano nella foresta hanno atteggiamenti predatori nei confronti
delle ricchezze naturali; i facili guadagni sono sempre realizzati a spese
della vita della foresta e delle persone che la abitano e sanno vivere in
armonia con essa.
Le
altre vittime
Per padre Bob Mulega, 34
anni, missionario della Consolata di origine ugandese e nel Catrimani dal 2019,
anche le manovalanze minerarie sono a loro volta vittime di un sistema di
sfruttamento: "noi sappiamo che nelle miniere le condizioni di vita sono
terribili e coloro che vi lavorano sono i più poveri, senza terra e senza altre
opportunità”. Gli fa eco Gilmara Fernandes, leader cattolica e membro del
Consiglio indigeno missionario di Roraima (Cimi) che dice: "i veri responsabili
della tragedia mineraria non sono coloro che stanno nelle miniere ma quelli che
forniscono logistica, manutenzione, cibo e finanziamenti senza i quali il
garimpo diventa una impresa impossibile. I lavoratori delle miniere sono solo
la punta di un iceberg che va molto più in profondità; sono i poteri occulti,
spesso vere e proprie imprese criminali sostenute da politici conniventi,
quelle che devono essere ritenute responsabili e assicurate alla giustizia”.
Quando nel 1993, quasi
trent’anni fa, è stata espulsa dalle terre indigene una prima ondata di
garimpeiros questi hanno potuto diventare agricoltori, ottenendo l'accesso alla
terra e partecipando a progetti di riforma agraria. Oggi è tutto più difficile
continua Gilmara: “con l'arrivo della soia, il valore della terra è aumentato
considerevolmente e la maggior parte della terra in Roraima è concentrata nelle
mani di politici, uomini d'affari, grandi produttori di soia, e diventa
impossibile comprarla. Come potranno questi lavoratori illegali mantenere le loro
famiglie? Se il governo non pensa a soluzioni per loro... saranno probabilmente
riciclati in altre attività illecite o in nuove frontiere del garimpo”.
Suor Mery Agnes, MC,
visita una comunità Yanomami.
Dietro
le quinte
I missionari della
Consolata che vivono con gli Yanomami nella regione del Catrimani da più di 50
anni conoscono quello che le telecamere non possono vedere e ciò che si muove
dietro le quinte. Per padre Mulega, gli Yanomami sono una società strutturata e
fortemente ancorata alle loro credenze e alla loro forma di concepire la vita e
la creazione. Tutto è ben costruito: l'ora di mangiare, le regole per vivere
bene in società, la cura della natura, il posto delle donne e dei bambini, il
ruolo degli uomini... questo mondo merita il massimo rispetto.
Il padre Mulega si
appella alla società affinché non veda gli indigeni come dei poveri disgraziati
ma come un popolo originario che condivide con tutti diritti, doveri, dignità e
bisogni. "Non dimentichiamoci che loro sono persone degne, e non una
popolazione che vive rinchiusa in una riserva ed è oggetto di studi. A loro
bisogna offrire politiche di salute pubblica ed educazione basate sulla loro
lingua. Difendere la selva è difenderne la vita, la casa e luogo sacro per tutti
loro".
In questo contesto,
appare fondamentale una conversione dello sguardo e del cuore che permette un
incontro autentico con la popolazione indigena. Un rapporto di colonizzazione,
da qualsiasi parte provenga –dal governo, dai proprietari terrieri o perfino da
organizzazioni che sono al servizio delle comunità indigene–, non farà altro
che aumentare i danni. Il genocidio e l'etnocidio, che oggi è alla luce del
sole, continueranno.
* Rosinha Martins è giornalista e Missionaria scalabriniana.
Fonte: Consolata América
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